Il termine fobia (dal greco φόβος, phóbos, “panico, paura”) indica un’irrazionale e persistente paura e repulsione di certe situazioni, oggetti, attività, animali o persone, che può, nei casi più gravi, limitare l’autonomia del soggetto, ma che non rappresenta un reale pericolo per la persona. Il sintomo principale di questo disturbo è l’irrefrenabile desiderio di evitare l’oggetto che incute timore e pur essendo spesso legata ad un oggetto o una situazione concreta, il contenuto psicologico che è alla base della fobia non coincide con quell’oggetto, che svolge semplicemente il ruolo di motivazione occasionale della crisi fobica. L’individuo fobico non può sottrarsi volontariamente alla sua paura, sebbene il suo insight sia sufficientemente buono da rendersi conto dell’irrazionalità e della sproporzionalità di questo vissuto, che permane per un determinato periodo di tempo e determina un disadattamento del soggetto al suo ambiente.
Le interpretazioni della fobia sono varie, a seconda delle modalità di indagine e di approccio impiegate. Per la psicoanalisi la fobia è imputabile alla rimozione di contenuti inconsci che manifestano il loro effetto portando l’individuo ad evitare una certa situazione. L’evento traumatico (appartenente al periodo dell’infanzia o della vita adulta) subisce un fenomeno di spostamento su una situazione o su un oggetto specifici. A livello di pulsioni inconsce, la fobia è causata dalla rimozione di un’idea, di un desiderio o di un impulso inaccettabile. L’interpretazione psicoanalitica freudiana restringe il ventaglio di ipotesi, in quanto definisce la sindrome fobica come una conseguenza del mancato superamento del complesso di Edipo (isteria di angoscia) e dell’angoscia di castrazione. Vi è quindi una negazione del problema interno ed un trasferimento della angoscia dalla situazione psicologica interna verso il mondo esterno che viene caricato simbolicamente di valenze negative e fobiche.
Nel comportamentismo, invece, l’origine della fobia va ricercata nell’associazione con una esperienza spiacevole precedentemente provata, rievocata dall’oggetto della fobia. Anche le relazioni interpersonali del momento possono instaurare un particolare collegamento, rappresentato dalla fobia stessa, tra il malato e l’ambiente.
Attualmente, la psicoterapia cognitivo-comportamentale sostiene che il disturbo derivi da un cattivo apprendimento che può avvenire per condizionamento classico (Preparedness Theory di Seligman) o per apprendimento sociale (Bandura). Il disturbo si viene poi a mantenere per condizionamento operante tramite l’evitamento, dove il rinforzo negativo è rappresentato dalla sensazione di diminuzione dell’ansia per effetto dell’allontanamento dalla situazione fobica.
La fobia è una paura marcata e persistente con caratteristiche peculiari:
- è sproporzionata rispetto al reale pericolo dell’oggetto o della situazione;
- non può essere controllata con spiegazioni razionali, dimostrazioni e ragionamenti;
- supera la capacità di controllo volontario che il soggetto è in grado di mettere in atto;
- produce l’evitamento sistematico della situazione-stimolo temuta;
- permane per un periodo prolungato di tempo senza risolversi o attenuarsi;
- comporta un certo grado di disadattamento per l’interessato;
- l’individuo riconosce che la paura è irragionevole e che non è dovuta ad effettiva pericolosità dell’oggetto, attività o situazione temuta.
La fobia è dunque una paura irrazionale, estrema e sproporzionata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia e con cui gli altri si confrontano senza particolari tormenti psicologici. Chi ne soffre è sopraffatto dal terrore all’idea di venire a contatto magari con un animale innocuo come un ragno o una lucertola, o di fronte alla prospettiva di compiere un’azione che lascia indifferenti la maggior parte delle persone (ad esempio, il claustrofobico non riesce a prendere l’ascensore o la metropolitana). Le persone che soffrono di fobie si rendono perfettamente conto dell’irrazionalità della propria paura, ma non possono controllarla.
L’ansia da fobia, o “fobica”, si esprime con sintomi fisiologici come vertigini, tachicardia, extrasistole, disturbi gastrici e urinari, diarrea, nausea, senso di soffocamento, rossore, sudorazione eccessiva, tremito e spossatezza. Con la paura si sta male e si desidera una sola cosa: fuggire! Scappare, d’altra parte, è una strategia di emergenza. La tendenza ad evitare tutte le situazioni o condizioni che possono essere associate alla paura, sebbene riduca sul momento gli effetti della fobia, in realtà costituisce una terribile trappola: ogni evitamento conferma infatti la pericolosità della situazione evitata e prepara l’evitamento successivo (in termini tecnici si dice che ogni evitamento rinforza negativamente la paura). Tale spirale di progressivi evitamenti produce l’incremento, non solo della sfiducia nelle proprie risorse, ma anche della reazione fobica della persona, al punto da interferire significativamente con la normale vita quotidiana dell’individuo, con il funzionamento lavorativo o scolastico oppure con le attività o le relazioni sociali. Ad esempio chi ha la fobia dell’aereo può trovarsi a rinunciare a molte trasferte, e la cosa diventa imbarazzante se è necessario spostarsi per lavoro. Chi ha paura degli aghi e delle siringhe può rinunciare a controlli medici necessari o privarsi dell’esperienza di una gravidanza e così via.
Quando si parla di fobie ci si riferisce in genere alle più diffuse fobia dei cani, dei gatti, dei ragni, degli spazi chiusi, degli insetti, dell’aereo, del sangue, delle iniezioni.
Più precisamente, esistono le fobie generalizzate (agorafobia e fobia sociale), fortemente invalidanti, e le comuni fobie specifiche, generalmente ben gestite dai soggetti evitando gli stimoli temuti, che si classificano così:
- Tipo animali. Fobia dei ragni (aracnofobia), fobia degli uccelli o fobia dei piccioni (ornitofobia), fobia degli insetti, fobia dei cani (cinofobia), fobia dei gatti (ailurofobia), fobia dei topi, ecc..
- Tipo ambiente naturale. Fobia dei temporali (brontofobia), fobia delle altezze (acrofobia), fobia del buio (scotofobia), fobia dell’acqua (idrofobia), ecc..
- Tipo sangue-iniezioni-ferite. Fobia del sangue (emofobia), fobia degli aghi, fobia delle siringhe, ecc.. In generale, se la paura viene provocata dalla vista di sangue o di una ferita o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive.
- Tipo situazionale. Nei casi in cui la paura è provocata da una situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare (aviofobia), guidare, oppure luoghi chiusi (claustrofobia o agorafobia).
- Altro tipo. Nel caso in cui la paura è scatenata da altri stimoli come: il timore o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare o contrarre una malattia (vedi anche disturbo ossessivo-compulsivo e ipocondria), ecc. Una forma particolare di fobia riguarda il proprio corpo o una parte di esso, che la persona vede come orrende, inguardabili, ripugnanti (dismorfofobia).
E’ importante chiarire che il tipo di fobia da cui si è affetti non ha alcun significato simbolico inconscio, come invece viene suggerito da alcuni psicoanalisti, e la paura specifica è legata unicamente ad esperienze di apprendimento errato involontario (non necessariamente ricordate dal soggetto), per cui l’organismo associa involontariamente pericolosità ad un oggetto o situazione oggettivamente non pericolosa. Si tratta, in sostanza, di un processo di cosiddetto “condizionamento classico”. Tale condizionamento si mantiene inalterato nel tempo a causa dello spontaneo evitamento sistematico che i soggetti fobici mettono in atto rispetto alla situazione temuta.
Fobie cura
Il trattamento delle fobie è relativamente semplice, se non complicato da altri disturbi psicologici, e prevede primariamente un percorso di psicoterapia cognitivo comportamentale di breve durata (spesso entro i 3-4 mesi). La cura delle fobie, dopo un periodo di valutazione del caso che si esaurisce in genere nell’arco del primo mese, passa necessariamente attraverso l’utilizzo delle tecniche di esposizione graduata agli stimoli temuti. Il paziente viene avvicinato in modo molto progressivo agli stimoli che innescano la paura, partendo da quelli più lontani dall’oggetto o situazione centrale (es. l’immagine di una siringa nuova per un fobico degli aghi o una scatoletta di mangime per un fobico dei cani). Il contatto con tali stimoli viene mantenuto finché inevitabilmente non subentra l’abitudine ed essi non generano più ansia. Solo a tal punto si procede all’esposizione ad uno stimolo leggermente più ansiogeno, in una gerarchia accuratamente preparata in seduta a priori. In questo modo, nell’arco di poche settimane, si riesce a salire sulla gerarchia fino ad arrivare a esposizioni molto più forti, senza suscitare mai troppa ansia nel soggetto e ripetendo ogni esercizio finché non è diventato “neutro”. Tale procedura può spaventare molto le persone che soffrono di una fobia, poiché implica affrontare vis a vis l’oggetto o situazione temuta, ma se ben effettuata, con l’aiuto di uno psicologo psicoterapeuta esperto, è assolutamente applicabile e garantisce un successo nel 90-95% dei casi nella cura della fobia. In alcuni casi per rendere più efficace il metodo si insegnano al paziente strategie di rilassamento fisiologico e lo si invita ad utilizzarle poco prima di esporsi agli stimoli ansiogeni, in modo da facilitare la creazione di un nuovo condizionamento, in cui l’organismo associ rilassamento, anziché ansia, a tali stimoli.
Nel caso di fobie invalidanti è molto diffuso l’uso di farmaci ansiolitici “al bisogno”, per gestire l’ansia dovendo fronteggiare necessariamente certe situazioni temute (es. prima di prendere l’aereo): questa strategia consente di sopravvivere all’evento, ma non ottiene altro che l’effetto di rafforzare la fobia. Più utili, eventualmente, anche se non paragonabili e indubbiamente meno efficaci delle tecniche cognitivo comportamentali, possono essere delle adeguate e prolungate terapie a base di antidepressivi SSRI, sotto attenta valutazione medica.